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11 Ottobre 2021

Essere liberi vivendo la clausura: Suor Cecilia si racconta

Essere liberi realizzando la vocazione di diventare suora di clausura è paradossale per il modo di pensare comune; per Suor Cecilia è assolutamente il contrario.

Suor Cecilia, ragazza solare, giovane e bella che ha deciso di seguire coraggiosamente la sua vocazione, soprattutto il suo cuore per essere una donna libera.

Durante la chiacchierata con lei mi ha colpito la sua profonda idea di libertà.

Solitamente si pensa alla vita di una suora di clausura come una vita dietro le sbarre del suo monastero pensando che la libertà esteriore abbia lo stesso valore dell'essere liberi.

Si può essere liberi esteriormente, raggiungere luoghi, entrare e uscire di casa quando si vuole ma si può essere legati interiormente a persone che ci fanno male o al passato con cui abbiamo difficoltà a fare pace.

Essere liberi nel significato profondo che porta con sé è vivere indipendenti ascoltando la propria natura come ha fatto Suor Cecilia.

La scelta di intervistare Suor Cecilia è stata dettata soprattutto da questo. Volevo raccontare fino in fondo cosa significhi davvero essere liberi per viverlo pienamente anche all'interno della propria relazione di coppia.

Desideravo raccontare una scelta così forte, giudicata sempre come una grande pazzia ma che nasconde la voglia di rispettare ciò che si sente dentro.

Suor Cecilia ha saputo ascoltare la voce del suo cuore, ha imparato a dare tempo a chi inizialmente poco ha accettato la sua scelta e a volere sempre di più da se stessa pur vivendo chiusa tra le mura di un monastero.

Chi è suor Cecilia?

Tante cose! È ricerca, cammino, curiosità, creatività.

Sono una persona con tanta voglia di scoprire, di entrare sempre più a fondo nelle cose. E in tutto questo sono una monaca di clausura!

Mi viene da sorridere perché penso di non corrispondere molto all’idea di monaca che spesso si può avere. Eppure sì, da ormai 16 anni vivo nel monastero delle Carmelitane Scalze di Piacenza.

Spesso si pensa alla vita di clausura come ad un bloccare la vita, ad un chiudersi appunto, ma al contrario solo questo desiderio, questa ricerca interiore continua ti permette di vivere a stretto contatto con te stesso e con delle sorelle.

Solo se la voglia di conoscere cosa c’è ‘oltre’ supera la paura, puoi permetterti di attraversare la diversità degli altri e le tue stesse ferite. Ultimamente in comunità mi occupo, fra le altre cose, della formazione delle ragazze che si avvicinano a noi per un cammino di discernimento.

È un ‘lavoro’ che amo molto perché mi permette di conoscere e accompagnare da vicino la fioritura delle persone cercando di aiutarle a scoprire se stesse e la loro chiamata, qualunque essa sia.

Com'è nata la tua vocazione?

Avevo 15 anni, facevo il primo superiore e ho letto un libro autobiografico di Santa Teresa di Lisieux, una giovane carmelitana di fine ‘800, e… alla fine de libro ho detto si.

Io volevo quello.

Volevo quella libertà e quella passione.

Anzi, più che volerle mi accorgevo di essere quella, di essere così amata e così libera di poterlo vivere. Ho detto sì, senza avere mai incontrato delle monache di clausura prima e senza sapere altro di loro.

È stato come un innamoramento, come se quelle parole avessero acceso all’improvviso la luce e avessi potuto vedere tutta la bellezza che c’era e la possibilità di viverla. È stata l’intuizione di un cammino per poter vivere fino in fondo la mia vita.

“Più entri nel cuore delle cose, più grandi sono gli universi che scopri”

C. S. Lewis

Questa frase di Lewis nelle Cronache di Narnia mi ha colpita e accompagnata nel tempo.

Ecco, per me la clausura era (ed è) questo: uno spazio in cui entrare dentro la vita, sempre più in profondità. Ed è stato così, è stato così negli anni delle superiori, vissuti da allora con questa ricerca dentro di me e poi, dopo il primo anno di musicologia, nel monastero.

Ricordo che arrivando nella mia cella trovai sul letto un biglietto di quella che sarebbe stata la Sorella che mi avrebbe accompagnata nel cammino di formazione che citava un’omelia di Benedetto XVI. Egli, parlando dei Magi che ripartivano da Betlemme diceva: “Il cammino esteriore di quegli uomini era finito. Erano giunti alla meta. Ma a questo punto per loro comincia un nuovo cammino, un pellegrinaggio interiore che cambia tutta la loro vita”.

È così, è un viaggio che non finisce, all’interno di noi stessi, degli altri, di Dio…

É un viaggio che porta con sé la possibilità di essere liberi.

I tuoi genitori hanno accettato questa tua scelta?

All’inizio non è stato facile perché non è esattamente la cosa che un genitore si aspetterebbe!

La clausura è un mondo abbastanza sconosciuto, anzi, spesso mal conosciuto. Le persone che vengono in contatto con noi rimangono stupite perché si aspettava un mondo triste e buio e, invece, così non è.

Siamo persone normali, con gli alti e bassi che hanno tutti e persone che stanno cercando di seguire il sogno che portano dentro.

Nessuno ci chiude qui! E così è stata la conoscenza di questa realtà, anche del modo in cui io la vivevo che pian piano li ha aiutati a comprendere. In ogni caso non mi hanno mai ostacolata, anche quando non erano d’accordo.

Suor Cecilia con le sue Sorelle

Ricordo che la mamma teneva sul comodino un biglietto con un testo di Gibran.

“I vostri figli non sono figli vostri, sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita. Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono. Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni. Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri. Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti".

Gibran

Loro hanno fatto così, mi hanno lasciata andare, mi hanno ‘lanciata in avanti’.

Come sono cambiati i rapporti con i tuoi genitori, familiari, amici?(come hanno vissuto il distacco e questo nuovo rapporto che si instaurava con te)

Sono cambiate sicuramente le modalità.

Vivevo ancora con i miei genitori e con mio fratello prima di entrare in monastero per cui per me ha coinciso con l’uscire di casa e il distacco lo abbiamo sentito tutti tanto perché ho avuto da sempre dei rapporti intensi con loro.

Poi pian piano si sono formati nuovi equilibri e sono iniziati nuovi cammini, per ciascuno di noi, ma anche fra di noi. Il mio entrare in monastero è stato sicuramente un evento forte per tutti e quattro, è stata una chiamata per tutti e ciascuno ha risposto a suo modo rimettendosi in discussione. Così è stato, seppure con intensità diverse, per parenti e amici.

Durante la nostra chiacchierata, mi hai detto di aver messo in discussione 5 anni fa il tuo modo di vivere la vocazione punto potresti spiegarmi meglio?

Io sono entrata a 19 anni e cinque anni fa ne avevo 30.

Ero cambiata.

Sono stati anni di grande cambiamento per me.

Alcuni anni fa, il momento della perdita di alcuni rapporti particolarmente significativi.

É stata un po’ la goccia che ha fatto traboccare il vaso facendomi prendere coscienza che era il momento di riprendere in mano un po’ tutto.

È una cosa che io faccio periodicamente, mi rendo conto che le motivazioni, il racconto della mia vita che fino a quel momento funzionava, diventano un vestito stretto e bisogna rimetterci mano.

Suor Cecilia

Cinque anni fa è avvenuto in modo più forte del solito, diciamo così! Sono momenti di ascolto (e, se non ascolto, il mio corpo mi ricorda di farlo) in cui mi richiedo cosa voglio, cosa cerco, cosa mi manca.

Sono momenti in cui si devono scoprire nuove parole perché quelle di prima non funzionano più.

Ricordo che in quel periodo la mia prima nipotina stava imparando a camminare e a me sembrava di essere come lei, di dover ri-imparare a camminare, di dover riscoprire il mio passo.

Un mondo crolla e ti ritrovi a camminare in un mondo nuovo che pian piano nasce intorno a te. è stato un periodo molto faticoso, ma…ho ritrovato un’altra volta me, come all’inizio. Ogni volta si tratta di ritrovarsi e quando succede è la cosa più bella del mondo…

Da bambina chi sognavi di diventare? Quali erano i tuoi sogni?

Sono solita dire che sono cresciuta ‘a pane e fiabe’.

I miei genitori e le mie nonne ne hanno raccontato tantissime a me e a mio fratello. Penso che sia veramente un dono grande che lascia il segno. In particolare papà durante le camminate in montagna ci raccontava le storie di Re Artù e del Signore degli anelli.

Quello che mi ha sempre affascinata di questi racconti era l’avventura e questo era anche il ‘sapore’, io lo chiamo così, che avevo di me, un sapore intenso, dolce e forte.

In particolare ricordo una volta in cui, da bambina, mi guardavo allo specchio e mi chiedevo se diventando grande me lo sarei ricordata, se sarei diventata davvero quella o se lo avrei perso.

In quella crisi di cinque anni fa la scoperta più bella è stata proprio quella di risentire quel sapore e scoprire che era diventato storia, che era diventato davvero la mia vita, il mio modo di fare, le mie parole, i miei gesti.

Ero diventata quella. È stato bellissimo. E continua ad esserlo.

Sei una persona libera interiormente per questo ti chiedo come vivi il senso di colpa?

Penso che nella mia vita il senso di colpa sia stato legato soprattutto al desiderio di fare felici le persone a cui volevo bene per cui mi sentivo in colpa quando vedevo che questo non accadeva.

È stato un cammino importante per me quello di riconoscere questo meccanismo per poter distinguere quello che faccio io dalle reazioni che l’altro è libero di avere.

Quando appunto cinque anni fa non stavo bene per me è stato prezioso avere una comunità che mi permetteva di non stare bene.

Ho imparato a stare davanti alla fatica delle persone a cui voglio bene senza dover per forza cercare di risolvere tutto.

A volte il senso di colpa emerge lo stesso, però posso scegliere cosa farne, posso esserne libera anche mentre lo sento, posso scegliere di lasciare libero l’altro.

A questo proposito c’è una frase di Rilke che amo molto: “Noi quando amiamo abbiamo solo questo da offrire: lasciarci; perché trattenerci è facile, e non è arte da imparare”.

Penso che imparare a lasciare libero l’altro sia davvero un cammino difficile ma ricchissimo, che cambia e dà vita alle relazioni, agli altri e a noi stessi.

Vorrei che dessi un consiglio a tutti coloro che vorrebbero trovare la propria vocazione. Vocazione intesa non nel senso religioso ma come perseguire la propria strada, quella che è in linea con la nostra natura e con ciò per cui Dio ci ha creati.

Ascoltare.

Ascoltare la vita che ci è donata, che ci abita, che scorre in noi e rispondere, rispondere con tutto il nostro cuore e la nostra mente a questa chiamata che ci abita.

Non rinunciare a vivere fino in fondo la nostra storia e la nostra vita perché niente può veramente impedircelo, solo noi.

Una delle figure che hanno accompagnato più da vicino il mio cammino è Etty Hillesum, una ragazza ebrea morta ad Auschwitz a 27 anni.

Lei ha incarnato la realtà degli uomini che vivono per essere liberi.

Ho letto i suoi diari, le sue lettere e sono rimasta affascinata dalla sua lucidità e dalla sua libertà che nessuno poteva toglierle, neanche nelle condizioni tutt’altro che semplici in cui si trovava.

È troppo bella! Ve la consiglio con tutto il cuore!

Dove trovare Suor Cecilia

Se avete voglia di fare una semplice ma profonda chiacchierata, trovate Suor Cecilia al seguente indirizzo:

Carmelitane Scalze Via Spinazzi, Piacenza.

Oppure potete scriverle in privato al suo indirizzo facebook:

https://www.facebook.com/kinotto31

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